
L’arte del re-missaggio (remix) risale alla fine degli anni ’60 ed è una pratica comune nel mondo della musica. Tutti noi abbiamo sentito almeno una volta nella vita il remix di una canzone prima di sentire la canzone stessa (soprattutto se risalente a qualche decennio prima). Lo scopo è sempre quello di raggiungere un target più ampio. Nell’articolo che segue proviamo a spiegare la magia del remix!
Quali sono le origini?
Il remix è nato in Giamaica negli anni ‘60, diventando ben presto una pratica che permise di guadagnare milioni di dollari. Inizialmente si isolavano la batteria e il basso dei pezzi ska, reggae e rocksteady, ‘doppiandoli‘ per ingrossare il suono, allungandone la durata e infine sfruttare il pezzo appena realizzato per far scatenare le persone nei club e nelle discoteche. La cultura dance hall era in ascesa negli anni ‘60 e di lì a poco i toasters (MCs) avrebbero iniziato a cantare (e rappare) su queste versioni rivisitate. Ben presto questo nuovo modo di creare musica uscì dai confini giamaicani arrivando a Londra e New York, ramificandosi in decine e decine di pratiche diverse, sotto-culture dell’idea originaria (come ad esempio il campionamento). Ai giorni nostri un remix è solitamente una versione scarnificata, trasformata completamente (di genere, intenzione e BPM) che diventa, di fatto, un pezzo nuovo. A volte è la melodia originale a rimanere intatta, a volte il ritmo.
Che tipo di remixes esistono?
La natura creativa e libera del remix ha fatto si che non esista un vero e proprio genere per i remix, bensì centinaia e centinaia. Detto ciò, il ‘metodo’ di remix si può riassumere in cinque tipologie:
Il remix ufficiale viene commissionato dall’artista originale o dalla sua etichetta. Gli stems (tracce individuali del mix) vengono consegnate al remixer che viene pagato a commissione o in royalties. Un esempio di questo tipo di remix è quello creato da Andy C nel 2010 per la canzone “Get Free” di Major Lazer. La puoi ascoltare qui sotto
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Il “bootleg” o remix non ufficiale viene fatto senza il permesso dell’artista, benché quest’ultimo spesso ne possa giovare e, di fatto, non intenta alcun tipo di azione legale in risposta.
Il “mash–up” è una combinazione della strumentale di una canzone con la traccia voce di un’altra canzone cantata nella stessa tonalità. Ecco un esempio:
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Il “radio/club edit” è una versione pi corta o più lunga creata per mercati e utilizzi di tipo diverso, spesso realizzata dall’artista o dalla label originale. Se il pezzo originale dura 5 minuti, molto probabilmente la radio non la trasmetterà: viene quindi realizzata la versione radio edit da 3 minuti. Ad esempio “I Remember” di Deadmau5 e Kaskade è stata accorciata a 3:20 dato che il pezzo originale durava ben 9:35
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Il re–edit viene solitamente realizzato da DJ di musica elettronica o musicisti che, partendo dal mixaggio stereo (quindi niente STEMS e tracce separate), rimuovono o aggiungo parti o aggiungono strumenti sulla canzone originale.
Cosa rende certi remix più efficaci di altri?
Pezzi lunghi, prevedibili e ballabili
Molti remix sono, di fatto, remix elettronici. Basso e cassa vengono ingrossati, il beat diventa ripetitivo e ballabile e il pezzo è, spesso, più lento per permettere al crescendo di fare il suo lavoro per far esplodere la pista da ballo durante il breakdown. L’appeal di questo tipo di remix è puramente commerciale dato che viene utilizzato nei club e nelle discoteche (o ai festival) per incrementare il guadagno dei suddetti locali grazie alle vendite degli alcolici e i biglietti d’ingresso.

Marshmello
Sponsorship / brand endorsement
Quando le vendite dei biglietti e dei drink incrementano notevolmente, i brand iniziano a mostrare il loro interesse. Marchi che realizzano bevande (alcoliche perlopiù) o abbigliamento spesso sponsorizzano club, eventi e/o DJ per suonare i remix delle top40 e attirare un pubblico più vasto. La collaborazione è molto proficua per l’artista, come si può notare dando una scorsa alla lista dei DJ più pagati del 2019. I The Chainsmokers sono in cima alla lista con un guadagno annuale di 46 milioni di dollari – nulla di strano se si ragiona sull’affluenza delle persone ad eventi popolari e presso le discoteche più in voga del mondo.

David Guetta, sold out, as usual
Espressione collettiva e collab.
Come molte forme d’arte contemporanee, anche i remix possono essere interattivi, immersivi e collaborativi. L’era dell’arte di consumo passiva è già morta e sepolta e molte persone, annoiate dalla semplice ‘canzone’ che sentono, vogliono trasformarla e apportare il loro input creativo per arricchirla (o snaturarla, in alcuni casi). Questa nuova era prevede la trasformazione dell’espressione creativa, una volta pensata come pensiero personale, in una dimensione collettiva e condivisa.

Change it up
Le possibilità sono infinite
I remixers possono prendere le canzoni e trasformarle in qualsiasi cosa, perché di base vige sempre e solo una regola fondamentale: libertà d’espressione. Alcuni sostengono che il remix sia di fatto un plagio, un furto; fintanto che il remixer da credito all’artista originale e paga le royalties, non sussiste nessun tipo di problema, anzi: l’artista originale spesso si ritrova a guadagnare più di quanto abbia mai fatto con la sua versione originale. E poi, non tutti i remix sono elettronici: godetevi questo remix di Gotta Get A Grip (di Mick Jagger) eseguito da Kevin Parker dei Tame Impala:
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Cosa pensi dell’arte del remix? Ti piacciono? Non ti piacciono? Faccelo sapere con un commento!
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